Parrocchia di Santa Francesca Romana  
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Passo dopo passo

 

 

 

Sono grata ad Anna Bellini per avermi fatto conoscere Serena Pulga attraverso il volumetto di poesia Passo dopo passo, che mi ha regalato a Natale, e le sono particolarmente grata di avermi invitato a festeggiare oggi i novant’anni di Serena con la presentazione del suo prezioso volumetto.

Ammiro l’intervento di Stefano Agnelli, che mi ha preceduto in questa seduta, così come condivido la sua introduzione alle poesie contenuta nel libro.

Si è soffermato non poco sulla vicenda biografica dell’autrice e non a caso: la sua vita è non solo il capolavoro di Serena, ma costituisce anche la vera chiave di lettura del libro. E’ una vita straordinaria come sono speciali le esistenze di non poche persone, e soprattutto di donne, che hanno vissuto, incastonata, quasi, nella propria carne, l’esperienza della seconda guerra mondiale. Quella di Serena pare resa ancora più singolare e assolutamente coerente, presidiata in tutte le sue fasi da due contenuti, talmente forti da costituire vere e proprie categorie: la passione e l’impegno. Fermi e totalizzanti sono la passione e l’impegno con cui ha promosso e difeso per tutta la sua lunga vita il diritto all’istruzione e alla cultura, intesi come ingredienti primari e insostituibili del primo e più irrinunciabile dei diritti fondamentali della persona, quello alla dignità e alla piena competenza nell’espressione di sè.

E’ in questo spirito che una giovanissima Serena, sfollata a Molino del Pallone, organizza una vera e propria scuola media per evitare che la guerra, già di per sé tragicamente sconvolgente, non comprometta la continuità del percorso scolastico dei ragazzi sfollati come lei in quella località dell’Appennino Tosco-Emiliano. Ed è con il medesimo spirito che incarna, non indossa semplicemente, i panni dell’insegnante di liceo, poi di istituto d’arte, e quelli, se possibile ancora più indicativi, di insegnante alla scuola serale per adulti del Pilastro, una delle realtà socio culturali più critiche e delicate a Bologna. Vien fatto di accostarla a don Lorenzo Milani, entrambi partecipi della stessa fede inossidabile nel valore dell’istruzione quale strumento egualitario e potente ammortizzatore delle differenze. Un connotato molto laico, che in don Milani costituisce, senza alcuna contraddizione, uno dei contenuti più caratterizzanti della sua Fede e della sua missione sacerdotale.

Nel ruolo di docente Serena arriva a lambire i suoi settant’anni; ma la passione per la cultura attraverso la parola, scritta in particolare, sostengono il suo impegno “con le donne e per le donne” per promuovere la loro piena espressione intesa come diritto fondamentale E dà vita a iniziative a lunga durata con l’UDI, e anche in autonomia, tessendo una fitta e vivacissima rete di rapporti; attività che mantiene tutt’ora. E a ribadire lo stretto nesso fra la sua vita e la sua poesia, non è un caso che alcuni dei versi più sentiti e più carichi di empatia siano dedicati alle amiche che hanno condiviso e condividono con lei questa avventura.

Nelle poesie di Serena si respira il senso profondo anche di altra fede laica, quella nell’immortalità di ogni essere vivente entro questo Universo in cui nulla si crea, nulla si distrugge, tutto si modifica. Serena lo esplicita: ”Credo/di essere immortale/come tutto/nell’universo./La cenere/che rimarrà di me/farà pur crescere/almeno un filo d’erba”. E come la Fede cristiana si innerva nella Carità, così la fede laica di Serena si innesca in un’espressione di Charitas vigorosa e solida, che abbraccia nell’amore e in profondo rispetto ogni forma di vita dell’Universo –esseri animati, piante, elementi, luoghi- nell’armonia ciclica e solenne, quasi sacrale, che tutto governa e di cui Serena si sente parte.

La triade delle virtù teologali cristiane si completa con la Speranza, che confida nella Provvidenza. Non so se nel caso dell’autrice sia corretto parlare di una forma di speranza; credo sia lampante la fiducia di cui fioriscono questi versi e che genera serenità (“sono dolcemente, dolcemente serena”). Fiducia e serenità sono termini iterati nei suoi versi e un’importante chiave di lettura della sua poesia. Serena fa onore al suo nome: “Nomen omen”, quanto mai. E’ con sguardo sereno che l’autrice contempla il tempo che passa e, in esso, i ricordi, non proiezione nostalgica e struggente all’indietro, verso eventi lontani e fatalmente perduti, ma segni indelebili di quanto abbiamo vissuto. Ogni persona incontrata e amata, ogni evento vissuto, ogni oggetto con cui si è avuto contatto imprimono una loro forma che ci modifica e che concorre a determinare ciò che si è. E dunque i ricordi costituiscono un’entità concreta che ci portiamo dentro per sempre, così come noi verremo a nostra volta introitati da chi ci sta vicino, in una sorta di metabolismo dell’animo (“Rimangono ricordi/che sono realtà anche/se lontani nel tempo./E’ a quel tesoro che dobbiamo attingere/…/era ed è vita nostra/che abbiamo posseduto/e nulla ci può togliere”). Questo consente di guardare alla vita, sia indietro che in avanti, con una sorta di euritmia, riuscendo a fare i conti anche con il dolore e la morte. In questa dimensione di pienezza la vita è amata appassionatamente da Serena, che cinge in un abbraccio di gratitudine tutti e tutto ciò che ha incontrato, visto e guardato (“sono rimasta / per tutta la vita/”golosa” d’occhi/ e lo sono ancora/a novant’anni”): i suoi cari che non ci sono più, gli animali, l’erba, i fiori, gli amatissimi alberi, i fiumi, le colline, la luce, che cambia con il mutare delle stagioni, ogni espressione del paesaggio e della natura. E’ un inno di lode a quell’equilibrio ciclico sereno e coerente, anche nel dolore, di cui si è detto, e che suggerisce, pur nelle diversità specifiche, il richiamo al Cantico delle Creature di Francesco di Assisi, il primo e il più alto canto al Creato (termine appropriato per Francesco, uomo di Fede e con una visione provvidenziale della vita; per Serena si parla, laicamente, di Universo e di natura), ai beni della terra, ai beni comuni -dai quali non sono esclusi il dolore e la morte- che penna di uomo abbia mai scritto.

E’ innegabile che il trascorrere del tempo comporti l’indebolimento di alcune delle risorse a nostra disposizione; è altresì vero che l’esistenza vissuta con consapevolezza e competenza reca con sé nell’età matura doni speciali, inattingibili nelle altre fasi della vita. Nel caso dell’autrice il premio più importante conseguente alla qualità del suo percorso è la Libertà profonda. Tutta la sua vita è connotata da affermazioni e testimonianze forti di autonomia, da atti concreti di difesa di questo diritto, così poco riconosciuto alle donne all’epoca della sua giovinezza. Ma la libertà raggiunta ora è diversa: è piena, finalmente priva di gran parte dei condizionamenti inibitori dai quali solo la saggezza vissuta consente di emanciparsi. “La lascio in libertà/voglio/che solamente accolga”, sostiene riferendosi alla sua mente, accentuando l’espressione forte del suo sollievo e della sua volontà con l’isolamento della voce verbale “voglio” nel verso. E’ la vera solenne sublimazione della Libertà.

Credo che per la lezione che consegue dalla sua straordinaria capacità di lettura sapienziale della vita, dal traguardo alto raggiunto grazie alla limpida coerenza con se stessa, dobbiamo non poca gratitudine all’autrice.

Alessandra Chiappini

 

 

 

SERENA PULGA, PASSO DOPO PASSO

Quando frequentavo l’Università avevo l’abitudine, che tuttora conservo, di passare interi pomeriggi nelle librerie dell’usato. Durante una di queste peregrinazioni, mi imbattei in un piccolo libro di poesie, dalla copertina chiara, con sopra impressa la foto di una bambina assai graziosa, nel suo vestito semplice ma elegante. Questo libro era Fermapensieri di Serena Pulga. Mai titolo mi sembrò più adatto per frenare, in qualche modo, il turbine di pensieri ed emozioni di un ventenne aspirante storico in formazione. Divoravo prosa– su consiglio di Carlo Ginzburg che, durante una sua lezione, disse che per diventare buoni storici bisognava leggere molti romanzi – ma non disdegnavo certo la poesia. Lessi dunque il libro, e fui colpito dalla capacità dell’autrice di annodare pensieri attorno ad oggetti e paesaggi. La natura sembrava aver conquistato una nuova dimensione, tanto mi appariva libera ma allo stesso tempo capace di soddisfare i bisogni dell’uomo, non soltanto materiali, quali il desiderio interiore di contemplazione.
Non avrei mai immaginato che, a distanza d’anni, Serena sarebbe diventata
una cara amica di famiglia, né tantomeno che oggi sarei stato qui a presentare il suo ultimo libro Passo dopo passo.
Con una sorta di mossa laterale del cavallo agli scacchi, vorrei ora
introdurre il concetto di memoria nella tradizione ebraica. Per il popolo d’Israele il ricordo ha un significato particolare: ricordare significa rivivere, vivere quel momento una seconda volta nel pieno significato della parola. Eric J. Hobsbawm ci ha mostrato come la nostra cultura, quella occidentale, si è all’opposto inventata un concetto per intrappolare il ricordo, renderlo in qualche modo istituzionale. Questo concetto è la tradizione, una gabbia, una sorta di dovere per il ricordo: un modo per opporsi al progresso del pensiero, al divenire storico e filosofico. Io credo che si debba ricordare per puro piacere, non per dovere, anche se mi rendo conto di sminuire, così facendo, quel principio che vuole l’attenzione fissa sul ricordo, sulla memoria, per impedire alle storture e agli orrori della Storia di ripresentarsi. Leggere le poesie di Serena Pulga oggi, significa proprio riscoprire il piacere del ricordo, togliere alla tradizione quel peso che porta con sé. Si ha l’impressione, leggendo queste liriche, di trovarsi nell’alveo di un fiume quieto che, lentamente, scorre verso la foce. Serena è testimone, custode lucido e trasognato al tempo stesso, di un paese in via di scomparsa che possiamo ritrovare ancora nei suoi versi. L’amore per la natura è in lei come innato, ancestrale. Sin da Fermapensieri la natura è colta attraverso le sensazioni che suscita in noi – oltre che come catalizzatore del ricordo – ma anche attraverso la sua stessa belezza, grazie a descrizioni altamente sensoriali, che mostrano tutta la capacità di Serena, di percepire lo spazio attorno all’uomo. Un paesaggio  antropomorfo quindi, un paesaggio che l’uomo vive con rispetto, traendone lo stretto necessario. D’amore, quello carnale, Serena non parla mai. Forse perché ancora “la strazia”, come dice lei, e preferisce conservarlo ancora caldo, senza condividere, poiché condividere significa in qualche modo raffreddare un’emozione. Eppure ciò che condivide è davvero tanto: una ricchezza interiore di donna innamorata della vita; ricchezza che ancora una volta mi spinge a considerare l’importanza di ogni individuo e, allo stesso tempo, il valore della parola scritta. Perdere un individuo, significa perdere un bagaglio indescrivibile di emozioni, sensazioni, esperienze e ricordi insostituibile, a meno che questi non abbia lasciato traccia di sé attraverso la scrittura, o una qualsiasi forma d’arte. Con Serena non corriamo certo questo rischio.

Stefano Agnelli